E’ una fredda domenica di dicembre, il canile è chiuso, l’ addetta sistema i box, e invita i cani ad andare nell’area sgambatoio, quando accade un fatto”eccezionale”. Spillo, un piccolo segugio alloggiato in un box con altri cani non esce precipitoso con loro, ma aspetta, accenna uno scodinzolio, osserva fiducioso la donna, la quale lascia l’occupazione e, con gli occhi più lucidi del cane, lentamente si avvicina, si china e dolcemente lo accarezza e lo coccola. Beato il cagnetto scodinzola e corre felice insieme agli altri. La responsabile sorride, asciuga le lacrime con la mano mentre lo guarda correre leggero. Oggi è un giorno speciale!
Cosa c’è di eccezionale in questo comportamento? E’ un comportamento del tutto normale! E perché la donna si commuove per” così poco”?
La storia inizia nell’estate del 2008 quando al canile appena inaugurato arriva,un gruppo di cani, provenienti da un unico sequestro: sono sporchi, affamati, ammalati, pieni di parassiti, tutti impauriti, alcuni traumatizzati. Sono giovani, alcuni di pochi mesi, e già con un pesante carico di esperienze che renderà difficile il loro inserimento, con un “imprinting negativo” che li seguirà per il resto della loro vita .
Uno di quei cani era il mio dolce Varenne, un setter inglese, che ho adottato; adesso, quando cammina al mio fianco con il muso rivolto in su, la bocca aperta e la lingua di fuori , mi guarda fiducioso e sembra che dica: “Ti voglio bene”, non so trattenermi e con una carezza gli sussurro: “Anch’io”. Lui socchiude gli occhi ed è tutto.
Dunque quando portai a casa Varenne salutai i suoi compagni di box, tra i quali il segugio Spillo. Spillo, l’ultimo prigioniero del gruppo rimasto al canile, proveniva dallo stesso sequestro di Varenne, dove un umano senza umanità e senza “bestialità” aveva spento la luce negli occhi di quei poveri cani. Anche Spillo , come Varenne, non si lasciava avvicinare e mostrava tutti i segni del cane maltrattato. Chiedeva solo di essere lasciato in pace per tutti gli anni che gli restavano da vivere: una richiesta inaccettabile.
Salutai quei cani , ma feci loro la promessa che dopo essermi dedicata a Varenne, sarei tornata. Perché se un umano disumano aveva potuto ridurre in un simile stato quei piccoli esseri, con un malefico incantesimo che impediva loro di vivere, un umano diverso doveva assolutamente togliere quell’incantesimo.
Così fu, dopo tre mesi tornai al canile, dal piccolo Spillo.
Ma io non ero una maga, non sapevo che fare. Mi presi tempo. Entravo nel box e mi mettevo a osservare i suoi movimenti, senza agire direttamente su di lui. Dalle sue mosse imparavo a conoscerlo. Sentivo quello che provava, ascoltavo tutte le sue vibrazioni di dolore. Gli parlavo, volevo che almeno la mia voce gli fosse familiare. Povero Spillo! Stavo seduta su un ceppo al centro dello sgambatoio, e lui girava intorno, lungo la rete, mugugnando e abbaiando tutto il suo disagio. Se provavo ad avvicinarmi, si allontanava. Gli detti tempo, tutto quello che occorreva. Dentro di me sapevo che iniziava a conoscermi, anche se non lo dimostrava. Un giorno decisi che potevamo tentare a uscire dal box, con difficoltà gli fu messo il guinzaglio; me lo consegnarono tremante e impaurito, gli occhi bassi, la coda tra le gambe, talmente attaccato al pavimento del piazzale da sembrare incollato. Una signora vide la scena, si avvicinò e lo accarezzò impietosita; cominciò a ruotare su se stesso come una trottola, poi si girò a pancia in su, le gambe rattrappite, lo sguardo pietrificato, finché un rivolo di urina uscì dal suo corpicino tremante e fuori controllo. Non sopportava di essere osservato e tantomeno accarezzato da una persona. Piano piano lo portai in un posto più appartato, mi sedetti accanto a lui, senza guardarlo, senza toccarlo, solo gli parlavo finché non si calmò. Se non ci fosse stato il guinzaglio, con cui lo tenevo saldamente, sarebbe fuggito. Spillo tirava fuori tutto il suo repertorio di paure, di barriere di autodifesa, io lo lasciavo fare. Non volli farmi impietosire, perché questo mi avrebbe fermato. Determinata, e discreta gli imposi la mia presenza, la mia voce, le mie azioni. Spillo iniziò a uscire dal canile in passeggiata, inizialmente guardingo, con la testa bassa e la coda tra le gambe, il corpo contratto; camminava come una lucertola, ma camminava, annusava l’erba e gli odori del bosco. Presto si rese conto che fuori c’era un mondo colorato e interessante che gli piaceva da morire. Mi accorsi che correndo aveva un tempo di reazione alla paura più lento, allora prima che perdesse il controllo, lo incitavo a correre, parlavo e correvo, e lui con me. Cominciai a carezzarlo, il suo corpicino ancora un po’ rigido non rifiutava più, come tutti i cani amava le coccole. Il suo portamento divenne più eretto, finché osò rivolgere la sua attenzione ad altri cani, e ad altre persone. Il suo muso dagli occhi dolcissimi, guardava curioso, la sua coda usciva allo scoperto scodinzolando, il suo corpo si muoveva aggraziato e flessuoso. Mi riconosceva e faceva le feste al mio arrivo, mi veniva incontro e andava incontro ad una vita diversa. Non era un cane perfetto, forse non lo sarebbe mai stato, ma un piccolo essere con tanto cuore, che aveva deciso di uscire dal suo isolamento, e di concedere un’altra possibilità a quell’essere strano, terribile e meraviglioso che è l’uomo. E gli uomini per fortuna non sono tutti uguali.
Ecco, l’incantesimo si è spezzato! Spillo, corre finalmente la sua corsa felice, ha liberato il cane tenero, garbato, vivace ed estremamente simpatico che è stato prigioniero dentro di lui per quattro lunghi e penosi anni. Spillo è pronto come un fiore aperto all’ape, non lasciamolo appassire nella cella di un canile! Gli manca solo un padrone che lo ami e che continui insieme a lui il viaggio che ha coraggiosamente intrapreso.